Ho finito di vedere Sanpa.
Non conoscevo nulla, se non una vaga esistenza di una comunità per tossicodipendenti a San Patrignano, luogo che non sarei riuscito a collocare su una cartina.
Quella di Sanpa e di Vincenzo Muccioli è stata una storia nascosta sotto il tappeto, come spesso si fa con gli ultimi, con la feccia della società. Anche il giudizio di chi ha realizzato il documentario e di chi lo vede resta nascosto, tagliato tra due estremi:
- Vincenzo Muccioli ha giocato al piccolo totalitarista megalomane.
- Vincenzo Muccioli ha salvato migliaia di vite.
La verità non sta nel mezzo, ma è in entrambe le definizioni. Perché non può essere negato che migliaia di ragazzi incatenati all’eroina (e poi all’Aids) sono vivi grazie a Muccioli. E altresì non può essere negato quel sapore di “ordine e disciplina” che serpeggia nei corridoi di San Patrignano, quella sensazione che ad un certo punto della storia all’idea di far del bene si sostituisca qualcos’altro. Che non esclude il bene, ma in qualche modo lo annacqua.
Nella testa dei detrattori San Patrignano è un inferno di sfruttamento e dolore, dove tossici alla stregua di schiavi sono imprigionati e sfruttati per costruire e far crescere, giorno dopo giorno, il regno di Muccioli, sostenuto da facoltosi imprenditori (non faccio spoiler, per chi, come me, rimarrà attonito scoprendo nomi e cifre).
Nei soldati di Sanpa, guidati dal generale Red Ronnie, Muccioli è la reincarnazione di Gesù, tornato in Terra per dare un senso a ciò che è scritto nel Vangelo.
Sanpa non è soltanto la biografia di Muccioli. L’antitesi è l’Italia tra fine anni 70 e primi anni 90, quell’Italia dimenticata di violenza e perdizione giovanile, l’Italia dello sballo, dell’assuefazione, della scimmia. Sanpa ci ricorda che è successo davvero: l’eroina si è portata via decine di migliaia di vite, e dove non è arrivata l’eroina è sopraggiunta l’Aids. Un’ecatombe, ma senza il bollettino del Ministero della Salute, senza vaccino, senza cura.
Voglio sottolineare senza cura, un altro aspetto che emerge dalle vicende raccontate in Sanpa: a San Patrignano, almeno nel periodo circoscritto al documentario, quindi fino alla morte di Muccioli nel 1995, i tossicodipendenti non vengono curati nel senso medico del termine, vengono trattenuti, spesso su loro richiesta, per un senso di umanità dittatoriale. Far del bene ad ogni costo. Non si può definire una cura l’uso della costrizione, piuttosto un sistema, un metodo, un modo di operare che si sostituisce ai tre grandi assenti di quel periodo: lo Stato, la Chiesa, la Famiglia. Li intendo come insiemi, ammettendone sicure eccezioni. Ci saranno stati altri Muccioli in Italia, con la tunica o con la divisa. Ci saranno stati anche genitori che sono riusciti a fare i genitori a qualsiasi costo. Ma è evidente che in quegli anni è mancata la volontà di rimuovere alla radice il male: la droga e lo spaccio. Forse in nome del libero arbitrio e del principio di autodeterminazione (se non ti buchi non ti succede nulla), i ragazzi che si sono persi sono stati lasciati soli.
Sono tossici, hanno fatto la loro scelta, amen.
Ebbene io sui titoli di coda di Sanpa dico che non è così. Quei ragazzi e quell’Italia avrebbero avuto bisogno non di tanti Muccioli, e nemmeno di tante San Patrignano. Quei ragazzi avrebbero (e hanno ancora) avuto bisogno di arresti, di una lotta totale allo spaccio, senza quartiere. Avrebbero avuto bisogno di un mondo senza droga. Eppure, nel momento in cui il problema esiste ed è reale, è ingiusto pensare che questi ragazzi se la siano cercata, che siano affari loro.
Mandateli a Sanpa e non pensiamoci più.
No. Troppo facile. Troppo comodo. L’esistenza di certe comunità è un fallimento di Stato, Chiesa e Famiglia. Forse solo prendendone atto non dovremo più sperare in qualche Muccioli che se li prende in carico, con il rischio – drammatico – che la situazione sfugga di mano e la prospettiva di salvezza si traduca in tragedia. Ed è forse questo il senso che ti lascia la visione di un documentario come Sanpa, se la domanda più frequente che gorgoglia nella testa è:
dov’era lo Stato, dov’erano i genitori, dov’erano i preti?