(Non) guardate Anna!

SPOILER ALERT

C’è un passaggio, forse due, anzi tre, di Anna, la nuova serie Sky Atlantic scritta e prodotta da Ammaniti e tratta da un suo romanzo – se la canta e se la suona, insomma – c’è un passaggio maledetto nella terza puntata che mi ha ricordato una scena di Salò di Pasolini, una pellicola truce e, per me, inguardabile.

Anna non fa venire la nausea come Salò, ma ha la capacità tragica di far tentennare chi sta guardando.

Adesso spengo.
L’ho pensato anche io, eppure è una serie che ha meritato il mio binge watching: quattro puntate di fila non mi capitava da un po’ di vederle, e a fine visione ne sono uscito completamente appagato.
E un po’ angosciato, da genitore, ma non troppo.

Anna è un viaggio all’Inferno, una collezione horror, un pacchetto di situazioni e personaggi cattivi, di una cattiveria acerba e marcia, acerba perché coltivata dai bambini, marcia perché ha il ruolo, nell’economia del racconto di Ammaniti, di non lasciare alcuna speranza all’umanità, a braccetto con un virus letale.

Già, il virus, un argomento con il quale conviviamo da 14 mesi.

Il virus “che uccide gli anziani” (Anna è un romanzo del 2015 e le battute iniziali della serie suonano come una terzina di Nostradamus) lascia il mondo, anzi la Sicilia, nelle mani di bambini e adolescenti. E il mondo, anzi la Sicilia, va a pu**ane, lo dico così, nel modo più crudo e diretto, alla maniera di Ammaniti, che fa recitare un bambino mettendogli frasi un bocca tipo “allora spero che muori”, detta da fratello a sorella, oppure risate inquietanti sulla faccia di un ragazzino che ha appena teso una trappola alla protagonista della serie, prima con la colla per topi e poi chiudendola in un kennel per cani.

Eccolo, l’Ammaniti-Pasolini che mi ha fatto vacillare, nel momento in cui Anna, schiava di uno dei gemelli, è al guinzaglio e fa il cagnolino addomesticato.


In questa scena, e direi da qui in avanti, fin quasi alla fine, dentro Anna non viviamo più l’ansia del virus, ma il dolore nell’immaginare i figli del nostro mondo trasformati in carnefici, torturatori, assassini. Figli che non danno spazio all’amore e all’amicizia, ed è per questo che Anna litiga in malo modo col suo salvatore, Pietro, che in una serie drama o romantico sarebbe stato, banalmente, il suo ragazzo.

Le domande che rimbalzano in testa vedendo certe scene sono automatismi indotti, in modo un po’ ruffiano, dalla costruzione della serie.

Cosa ne sa un bambino del dolore, della morte, se cresce senza genitori?
Quali confini può oltrepassare?

E qui Ammaniti è maestro nel farci venire il dubbio che una percentuale di atrocità sia insita nel genere umano, virus o non virus, modellando il personaggio di Angelica, una ragazzina cresciuta a pane e talent show. Una ragazzina che è un mostro, ma lo già da prima che il virus si porti via genitori e speranze. Angelica, nome non omen, è la personificazione del Male, la strega da abbattere, il nemico da eliminare.

Il casus belli definitivo tra Anna e la matrona dei Blu arriva in una scena che chiama a raccolta la memoria di Annie Wilkies, l’infermiera sardonica di Misery, forse il personaggio più riuscito dell’universo del Re dell’horror.

L’amputazione del braccio di Anna non si vede, ma arriva come una mattonata in faccia, e scatena il terzo atto della serie, fino alla vendetta e all’epilogo: prima sull’Etna di Nucci, il capobanda che domina il vulcano e trasforma Pietro in qualcosa di simile all’uomo di latta di Oz, e quindi in un’ultima mezz’ora in cui Anna, ritrovato il fratello Astor, punta l’Italia con un pedalò e trova la Speranza a bordo di una petroliera.

I titoli di coda arrivano sul primo piano di un neonato, lasciando il dubbio che Anna e Astor potrebbero non aver mai lasciato la casa nel bosco, e che ciò che abbiamo visto sia stato tutto – come ricorda la loro madre nel voice over finale – una conseguenza della “capacità degli esseri umani di raccontare storie”.

Sulle note dell’ultimo fotogramma, lascio la parentesi che chiude il non, e dico: guardate Anna, oppure leggetevi il libro, oppure entrambe le cose, e anche se ve ne pentirete, avrete visto qualcosa da raccontare.

(foto: Meganerd.it – Sky)

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